Tutti noi conosciamo i padri bancomat.
Sono uomini, padri di famiglia con prole che la separazione dal coniuge ha trasformato in disperati.
La separazione è un trauma ad ogni livello e ciò anche per la madre.
Ella vive con il pensiero fisso di garantire un sostentamento ed un futuro ai bambini.
Spesso le madri si fanno in quattro dimostrando forze e capacità che non sospettavano neppure di avere.
Curano i figli tutti i giorni, lavorano e badano alla casa, sovente quella dove viveva la famiglia.
Vivono una situazione di paura e angoscia che le spinge a fare qualsiasi cosa.
Si assiste però anche ad una reale disintegrazione del padre ed ex marito.
Nei fatti accade che la separazione renda tutti più poveri, i coniugi e quindi i figli.
Con gli stipendi immutati il marito deve pagarsi un affitto, perché è dovuto uscire di casa, di solito per trasferirsi in un alloggio più economico e squallido e deve pagare gli alimenti.
Il maschio ne esce a pezzi. Si vende lo scooter, dirada le uscite con gli amici, vede i figli ogni tanto e gli sembrano degli estranei rancorosi.
Tutto questo accade perché nei tribunali italiani il principio del favore per la moglie viene applicato dai giudici in maniera rigorosa, letterale e senza una reale lettura della rispettive sostanze.
Seppur attenuato da recenti pronunce delle corti esso rimane esagerato e sbilanciato, specie alla luce dell’evoluzione sociale verificatesi dalla sua introduzione.
Così questi ex mariti separati sono diventati una categoria sociale, dei panda dei tempi moderni.
Vagano disorientati tra avvocati, carabinieri e psicologi, cadono in relazioni palesemente errate, senza un soldo in tasca, trasandati e privati del loro status di padri, querelati, pignorati, soli e sviliti.
Sono persino sorte delle associazioni che tutelano questi soggetti.
Spesso balzano agli onori della cronaca per gesti, simbolici e non, di disperazione che, nella sostanza, sono grida di aiuto.
Triste epilogo di uno status perduto.
Nel rispetto della donna, dei figli e della famiglia che fu è giusto intervenire sulla materia.
Lo stato e l’ordinamento devono garantire che una scelta di vita, spesso necessitata, non si trasformi in una tragedia, peraltro annunciata.