Privatizzazioni e dismissioni

  • Massime e generalizzate, con ricavato in favore e funzionalizzato al rientro ed alla diminuzione del debito pubblico.

  • Più in generale il pensiero di prospettiva ed operativo sotteso a detta riforma deve consistere nella considerazione che per lo stato, ed indi per la collettività appare maggiormente proficuo dismettere, in senso oneroso, ma non solo (vedasi le riconversioni…), certuni beni e/o partecipazioni e/o asset, piuttosto che lasciarli inerti e non produttivi (nella migliore delle ipotesi), o addirittura in profonda e costante perdita, anche ricavandone poco, o in ipotesi nulla, piuttosto che permanere nella situazione attuale (questo pensiero deve valere innanzitutto per i beni improduttivi dello stato ma non solo, con il retro-pensiero per il quale un bene, convertito da un privato in bene “produttivo”, a vario titolo, crea un innegabile ed inevitabile indotto che giova, in ultima analisi, alla collettività.

  • Quel bene e/o partecipazione e/o servizio, o asset, nelle mani privatistiche dovrà necessariamente sottostare alle regole del profitto, con l’unico limite inderogabile ed adottabile per legge, secondo il quale detto bene deve essere reso, in un qualche modo e/o maniera, produttivo da parte del privato, pena la revoca dell’assegnazione, con pedissequo obbligo di restituzione della somma raddoppiata ed assegnazione al secondo avente diritto).

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